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Simbolismo & Film

  

36, rue des orfevres di Olivier Marchal

 (per chi non l'avesse visto : questo commento può contenere elementi chiave e il finale del film)

 

Non è soltanto un film sul corpo di polizia, sul sistema o sulla gerarchia. Dunque nemmeno su bene o male, buono o cattivo, giusto o ingiusto. Il tema di cui tratta è il “corpo sociale”. Parla di impotenza, di ipocrisia, di piatto adattamento, di mancata individuazione e conseguente scarsa responsabilità, da cui il bisogno di un “capo” da seguire.  Se non è possibile quello che si stima, ci si accontenta di quello che si disprezza, anche detestandosi e avvilendosi (“Sono solo uno sbirro di merda né più né meno come gli altri. A che servirebbe parlare?” dice la poliziotta delusa e disillusa). Al punto di non ritenere importante l’esprimere il proprio pensiero, poiché lo si valuta in senso utilitaristico e non come inalienabile diritto, la cui altra faccia della moneta è il senso civile.

E questo tocca tutti, dal gradino più basso al più alto, perché lo “status quo” è intoccabile .. più facile dare la responsabilità piena al sistema,  che sì annichilisce e aliena l’uomo, ma di cui così alla fin fine si è complici.

 

Tuttavia è anche un film sui sentimenti: l’amore, l’amicizia, la solidarietà .. il silenzio e la paura, da cui scaturiscono solitudine, invidia, competizione, delusione, sete di potere.

 

Ma soprattutto è un film sulle sfumature infinitesimali che fanno la differenza. Tra dentro il gregge e fuori dal gregge, tra solidarietà e complicità, sentimento e bisogno, individuo sociale e individualismo egocentrico, leader e capo.

 

All’interno del “gregge” c’è un solo ribelle (Fifì). Iniziatore e capro espiatorio. Quello che chiuderà il cerchio e salderà il conto (aggredito da due malviventi, in cerca di vendetta, prima di morire fornirà il nome del “colpevole” che verrà da questi “giustiziato”).

Si espone nei sentimenti (all’inizio con la poesia di commiato) nell’azione (inizia il dietro front al funerale) fino all’estrema conseguenza (piscia sul nuovo capo detestato) che lo porta a venire emarginato (viene licenziato).

Gli altri, in un modo o nell’altro, in grado diverso, si adattano. Per pressioni o paura che sia, comunque per convenienza. Non è che non sappiano distinguere, ma la coesione del gruppo e la motivata contestazione si disperdono quando vengono privati di un “capo branco”.

 

Fuori dal “gregge”, veramente, sono solo in due (i due tenenti “rivali”), perché non basta essere il direttore della polizia per svincolarsi (preferisce restare intrappolato nelle “regole del gioco” del potere), la cui unica risorsa è un tête-a-tête privato con Denis Klein per mortificarlo. Controproducente peraltro, visto che definisce la loro “appartenenza” (“Nella malavita quelli come lei finiscono da soli in un parcheggio con tre pallottole in testa” – premonizione non completamente esatta – “Nella malavita” gli risponde Denis “è un pezzo che tipi come me non ascoltano tipi come lei”)

 

Denis Klein, sebbene in parte galleggi sotto il livello di coscienza, sa quello che è e vuole, va per la propria strada solitaria, mosso dal desiderio di potere e usa il sistema più che esserne asservito, anche se così lo sostiene. Ma è anche spinto dall’insoddisfazione di sé e dall’invidia (”Non è mettendo Leo in prigione che ricomincerai a sognare .. del grande poliziotto che volevi essere e non sarai mai”, gli dice la moglie), dalla gelosia e rivalsa (come rivela ciò che dice a Leo, che comunque non si abbassa al suo livello “Lei è morta a causa tua. Unicamente a causa tua. Sei tu che hai cominciato. Se ci avessi lasciato tranquilli non sarebbe successo”), con cui vuole giustificarsi.

 

Quello che distingue Leo Vrinks è la consapevolezza del proprio essere, ombra inclusa, di cui non va fiero (non ne parla alla moglie per paura di perderla) con cui fa i conti da solo (non condivide con nessuno il suo dramma). La capacità di fare scelte, anche sbagliate, senza farle pesare sull’altro (non confida il suo peso a nessuno). Il giocarsi fino in fondo per quanto per lui ha valore (la fedeltà al collega-amico ucciso “io gli devo la verità” e la solidarietà anche quando è discutibile). Non cerca giustificazioni, solo il confronto (“Tu cosa avresti fatto al mio posto?” chiede al suo capo e non, come questo poi gli dirà, “Cosa volevi che facessi?”).

 

Denis Klein segue il suo unilaterale ego o, meglio, ne è pressato e cerca di pareggiare i conti col resto del mondo.

Leo Vrinks la legge, non quella codificata, ma quella interiore con coerenza, facendo i conti solo con se stesso.

 

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