Amores perros
di
Alejandro González Iñárritu
(per chi non l'avesse visto : questo commento può contenere elementi chiave e il finale del film)
Il film ci viene addosso
come i pensieri che sfuggono all’oblio della mente e riportano altrove. A
qualcosa di dimenticato o rimosso, a un collegamento che sembrava non esser
stato raccolto. Il grande archivio, trascurato per superficialità, inchioda
al riflettere sul proprio agire, che all’altrui si intreccia in un’unica
trama, la vita, con conseguenze inimmaginabili.
Dunque non un film sulle
coincidenze, ma sull’interrelazione, sui legami di cui si ha da essere
responsabili perché ogni azione agisce, direttamente o indirettamente, sul
mondo circostante.
Il contorcimento caotico
spinge a riflettere in profondità per comprendere, percepire e identificare
gli eventi, le motivazioni.
Più selvatico e, per
questo forse, più affascinante del secondo film (21 grammi) “Amores perros”,
attraverso il confronto uomo e animale, parla dell’istinto e delle sue
metamorfosi.
Il cane è trasposizione
di bisogni, difficili da vivere.
Ramiro è istinto grezzo
che si muove impulsivamente, incapace di entrare in contatto col sentimento
(sgarbato con Susanna, la moglie, e in generale brusco) verso cui non sa
come porsi (per coccolare il proprio figlio ne provoca il pianto) e, quindi,
si ritrae (allontana la mano di Susanna chiudendosi a riccio dolorosamente).
E’ quel che è, naturale.
Susanna, sentimento
confuso a cui l’istinto sfugge (il cane), ancora immatura, si lascia in
balia del destino.
Il loro rapporto è privo
di equilibrio (il figlio malato).
Octavio è istinto
mascherato, che la ragione, accecata dalle emozioni, deforma pur di ottenere
ciò che vuole. E’ il caso che lo tenta (il cane per difendersi ammazza
l’altro cane che gli è stato aizzato) e ne rivela l’inconsistenza poiché si
lascia ingabbiare da modalità che biasima negli altri, senza considerare che
le sue scelte sono discutibili .. anche se riguardano un animale. Il suo
rapporto col cane diventa strumentale, ad oltranza (mette a rischio la vita
del cane, la propria, quella dell’amico e di Susanna stessa se venisse
scoperta) con gravi ripercussioni su il mondo circostante (il ferimento del
cane, la fuga e l’incidente).
La razionalità prevarica
l’istinto (fa aggredire Ramiro) che tuttavia sfugge al suo controllo
costringendola a “reintegrarlo” (la fuga è talmente immediata da richiedere
l’intervento di entrambe le istanze).
Il sentimento è monco, lo
sbilanciamento istinto e ragione ne impedisce lo sviluppo. E questo accade
anche nella realtà completamente diversa, di Valeria e il suo “impersonale”
compagno, dove l’istinto “educato” cede, più che alla ragione,
all’apparenza.
L’incidente (l’impatto
con altra realtà da cui sono penetrati brutalmente) mette a nudo
l’inconsistenza dell’impalcatura su cui poggia lo loro vita.
Valeria, fotomodella
famosa, è “effimera” (il sentimento punta tutto sull’esteriorità), non ha
resistenza (il non rapporto col padre-maschile), la sua vita viene
annientata accentuando il bisogno di compensazione affettiva (il suo cane),
che crolla e viene corrosa a livello inconscio (si infila sotto il
pavimento, nell’oscurità popolata da topi).
Solo riportandolo alla
luce (consapevolezza), e accettandone la vacuità, diventa possibile
proseguire.
I sentimenti, d’amore o
di rabbia, si riversano al di fuori del contesto umano, in un sociale
fantasma.
Testimone dell’incidente
è un personaggio che non appartiene a nessuna delle due realtà, lasciata la
seconda vive ai margini della prima.
El Chivo,
ex-rivoluzionario, ex-galeotto, ha sacrificato se stesso e la propria
famiglia (sentimenti personali) per i propri ideali (sentimento sociale),
contraddicendoli peraltro (la violenza messa in atto). Vive di ricordi, di
espedienti, in esilio dal genere umano, in una sorta di ottundimento
globale.
Ma il suo agire
(l’omicidio di cui cerca la notizia sul giornale, in cui è riportata anche
la morte del secondo marito della moglie) lo riconduce al passato, alla
figlia che non ha visto crescere.
E l’incidente di Octavio,
per quanto la sua maggiore preoccupazione sia verso il cane, lo ributta suo
malgrado nel sociale.
La svolta decisiva viene
segnata dall’uccisione dei suoi cani (branco, comunità, senso di
appartenenza) da parte del cane ferito (istinto esasperato dalla razionalità
di Octavio),
che ha soccorso.
L’azione, seppur feroce,
non è violenta. Il cane ha ucciso nell’inconsapevolezza del “male” (fa ciò a
cui la ragione-uomo l’ha spinto), tant’è vero che resta tranquillo quando
l’uomo rientra a casa.
Il fatto (e dunque il
cane, nella sua qualità simbolica di psicopompo) diventa intermediario fra
l’uomo e la sua coscienza. Già consapevole della miseria umana, ne scopre
l’ombra in se fino allora celata dal rapporto coi suoi compagni a quattro
zampe. Quindi non osa infierire sull’animale.
Il vuoto che gli lascia
la loro morte gli rivela il vuoto della sua vita, da cui il “ritorno” ad
essere uomo non più reietto.
Ora veramente tutti i
suoi alti ideali (proiettati sui cani) sono distrutti e non gli resta che
purificarli (brucia le carcasse) per mettersi a nudo (snidare gli istinti
soggettivi camuffati da ideali sociali) e riallacciarsi ai propri sentimenti
personali (in basso rispetto ai primi), solida base necessaria per poter
alzare lo sguardo a questi (svestito e sdraiato guarda verso l’alto).
Mettendo a fuoco la
verità (mette gli occhiali) diventa possibile riconciliarsi col passato per
procedere verso il futuro.
|