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Simbolismo & Film

 

Monsieur Ibrahim e i fiori del Corano di François Dupeyron

 (per chi non l'avesse visto : questo commento può contenere elementi chiave e il finale del film)

 

Il linguaggio simbolico impregna il film con una semplicità diretta che affiora stupendamente.

 

Una realtà misera, asfittica (il padre, che può anche rappresentare un certo tipo di società), il cui annientamento (il suicidio) non è che conferma della propria sterilità.

Incapace di trasmettere stimoli costruttivi, aggrappata a simboli muti (i libri, il dizionario a cui rimanda il figlio anziché parlargli). Pericolosamente contagiosa nella sua distruttività, che con indifferenza sgretola giorno per giorno lo spirito, usando ogni strumento possibile per colpevolizzare l’altro pur di tenerlo sottomesso (il fratello inesistente).

 

In tale contesto una giovane anima sana (il figlio), precocemente abbandonata a se stessa, che si cerca e cerca di vivere, trova ciò di cui ha bisogno per fiorire e crescere proprio in un mondo completamente diverso dal suo (Ibrahim) dove il sorriso sostituisce creativamente la regola/dogma.

 

All’arido materialismo che si nasconde dietro un addormentato sapere astratto, funzionale solo al denaro (la vendita dei libri), a discapito dell’essere umano (non far entrare luce e calore per non rovinare le rilegature/immagine esteriore) si contrappone la naturale fisicità del Sapere essere in sintonia con la vita.

 

Ibrahim sa andare oltre gli schemi precostituiti con cui si incasellano persone e vita (Arabo vuol dire aperto dalle 8 di mattina fino a mezzanotte), senza sentire la necessità di togliersi di dosso l’etichetta – se non per spiegarsi e farsi intendere da chi lo interessa –, riuscendo persino a darle una significatività (la capacità di esserci e essere sempre presente) che rompe, da dentro, gli schemi e collega il filo della saggezza senza tempo, la naturalità, con la vita.

 

La realtà-consistenza dell’essere umano (l’odore dei piedi) è più potente (e rassicurante: mi sento, ti sento) del profumo di uno spirito rappresentato (odore di incenso, candele), che se privilegiato imprigiona all’interno del corpo, anziché alleggerirlo come quando si segue il flusso dell’energia vitale (i dervisci rotanti).

 

Il Male e il Bene dipendono dall’angolazione da cui uno guarda, come la bellezza da chi guarda .. se sa guardare oltre sé.  E la ricchezza imperdibile da ciò che uno da.

 

La conoscenza non passa attraverso la testa o i libri, ma tramite l’esperienza del confronto e della partecipazione (Quando si vuole imparare qualcosa,non si legge un libro, si parla con qualcuno).

 

Ibrahim è un vero Maestro. Parla della semplicità della vita e mette in pratica quanto dice, sconfiggendo ogni teoria. Ascolta e osserva con attenzione, pronto a soddisfare anche anticipandole le richieste e il bisogno di imparare del ragazzo. Senza contropartite. Non impone regole ma condivide i propri riti (il bagno turco, la preghiera).

Si lascia scegliere (come padre) e al discepolo (figlio adottivo), di cui è orgoglioso a priori per ciò che è prima che per quello che sarà, trasmette la propria vera ricchezza: la gioia di vivere e la Fede (non il Corano, ma “il MIO Corano”), mostrando con un’intelligenza vivace ed essenziale, che coniuga il corpo all’anima, il segreto del vivere secondo il ritmo proprio (Il segreto della felicità è la lentezza). Quello della natura, lento se contrapposto a quello della società civile, spesso forzato.

 

La “contaminazione” è reciproca (compra la macchina e impara a guidare) e intreccia passato e futuro nel presente.

Ibrahim apre tutto il suo mondo (il viaggio in Turchia) perché ogni nuovo incontro è un ritornare alle proprie origini per “riassestarle”.

 

Nel flusso naturale della vita quando l’Anima è pronta, il Maestro non ha più motivo di essere e ritorna alle origini (l'addio di Ibrahim), mentre inizia un nuovo ciclo con quanto dal precedente si eredita.

 

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