PARLA CON LEI di Pedro Almodovar
(per chi non l'avesse visto : questo commento può contenere elementi chiave e il finale del film)
Il cuore del racconto
cinematografico è la narrazione autoseduttiva di Benigno: il film muto in
bianco e nero (Amante Seguante, che significa Amante Calante).
Primordiale quindi,
poiché il bianco e il nero comprendono tutti i colori e rappresentano il
dualismo degli opposti, il visibile e l'invisibile, il buio e la luce, la
germinazione e la nascita, la morte e la rinascita ... cioè tutto. E la
parola non è ancora intervenuta a sgualcire l'incanto delle emozioni, che si
rivelano attraverso la musica, armonia dei numeri e del cosmo.
Narra di due monadi.
All’inizio, è il
maschile/attivo a essere protagonista. L’uomo tenta di catturare
l’attenzione su se, la donna è intenta alla sua attività (qualità maschile),
quindi a se stessa. E’ per entrambi un bisogno di autoaffermazione.
Quando il maschile
cala, cioè si trova di fronte alla sua “piccolezza”, il femminile comincia a
mostrarsi. Dapprima ancora intriso di maschile : imperativo e fagocitante
(come si presume la madre dell’uomo); eccessivamente protettivo, si
sacrifica per tutelarlo ma decidendo per l’altro (l’uomo se ne va per non
essere di peso, la donna cerca un antidoto e, intanto, lo accudisce). Fino a
che il maschile (volontà, attenzione della donna), cede completamente (si
addormenta). Resta solo l’insignificanza dell’essere parziale e il non
potere altro se non l’accettarla, cioè correre il rischio di annullarsi per
poter penetrare la parte addormentata o compressa (altro significato
dell’essere piccolo) e per farlo è necessario mettersi completamente a nudo
(entrambi lo sono).
Entrare nella caverna
è un rito di iniziazione e rinascita. Ri-trovare la parte di sé persa
nell'oscurità e reintegrarla. Ma per questo serve sminuire la parte che sta
alla luce.
Dormire è entrare
nella buia grotta del sonno, dove il sogno trasforma la realtà e la
arricchisce.
“Parla con lei” è un
film sulla relazione fra maschile e femminile, ovvero su ogni genere di
opposti (L’insegnante di danza spiega l’opera che andrà a rappresentare :
Quando muore un soldato emerge dal suo corpo la sua anima. Dalla morte
emerge la vita. Dal maschile il femminino. Dal terreno l'etereo,
l'impalpabile), che percorre i diversi canali su cui si snoda la
relazione, in collegamento col mondo circostante.
Sul potere
trasformante del contagio che il confronto con l’altro comporta. Se non ci
si lascia contaminare non si dà la possibilità alla parte di se in ombra (che
l’altro richiama) di esistere.
Sulla solitudine, sul
Verbo e quindi sulla comunicazione. Sui miracoli che bisogna essere pronti a
ricevere. (Benigno: Io credo nei miracoli e anche tu dovresti farlo.
Perché ne hai un gran bisogno. Magari te ne capita uno e quando accade non
te ne accorgi nemmeno.)
Sul "normale",
rappresentazione mentale che interferisce coi miracoli. Su sostanza e
apparenza.
Per Benigno (il
sentimento/femminile) il miracolo inizia quando dall’immaginazione passa
all’atto concreto. Per Marco (la ragione/maschile) è il contrario.
La parte maschile di
Benigno non è ancora strutturata. E’ istinto, segue ciò che a lui sembra
naturale, senza porsi il problema se questo sia normale né sulle possibili
conseguenze.
Così la parte
femminile di Marco, che è un’ “esteta” della natura .. ma non crede ai
miracoli, ricorrenti nella natura e nel sentire.
Benigno comunica
attraverso la parola con cui tenta di penetrare nel mondo dell’altro
(anticipazione dell’atto verso cui è rivolto). Marco usa la parola, scritta
o pronunciata che sia, per descrivere (immaginazione che precorre il
miracolo).
Parla con lei ..
rendi, attraverso la Parola, reale ciò che accade ... Altrimenti la parola è
solo un non senso.
La comunicazione non è
infilare un insieme di vocaboli e definizioni per fare una conversazione
fine a se stessa. Se non si entra in relazione .. è solo forma. Se si è in
rapporto veramente, la forma passa in secondo piano.
Forse non è un caso
che Benigno risulti, inizialmente, insignificante, mentre lo schermo viene
immediatamente catturato dall'affascinante Marco. Anche qui, come nel
film-racconto, in principio è il maschile a essere protagonista.
Però la composizione
delle due monadi, qui, è più variegata. Benigno-Alicia e Marco-Lidia.
Nella prima prevale il femminile, nella seconda il maschile.
Benigno dipende dalla
madre, Alicia sembra indipendente dal padre. Lidia ha seguito le tracce che
il padre ha segnato, Marco per cui non esiste un riferimento diretto mostra
comunque un distacco dal femminile (madre).
Proviamo ad andare più
a fondo.
Benigno - il nome è
già un biglietto da visita - è il Matto. Il "fuori posto". Il non definito.
Sembra omosessuale, ma non lo è. Sembra stupido, ma non lo è.
Il suo bellissimo
femminile dorme, per un trauma che non gli ha permesso di esistere. Ciò
nonostante è imponente anche se morbidamente (il corpo di Alicia). E infatti
Benigno nutre, l'altro e se stesso. Trasforma le prove “da subire” in
possibilità di crescita, di arricchimento personale. Sa che il femminile
(il cervello della donna) è misterioso
e che bisogna tenerlo in considerazione .. tant’è vero che è
ciò che lo attiva ad agire e sperimentare, al di fuori della razionalità
maschile: fa cose che agli altri sembrano strane .. che toccano e
risvegliano.
Il fascino di questo
personaggio nasce man mano .. da ciò che è e non da ciò che appare.
Benigno fa un lavoro
d’assistenza, mentre Marco uno decisamente intellettuale. Un lavoro
femminile, contro uno maschile. Per Benigno il lavoro è una parte di se, si
integra nella sua vita. Marco dice che non si
può non lavorare. Pur essendo un lavoro, il suo, indubbiamente libero e
creativo è un lavoro-dovere o ruolo. Uno, dunque,
decisamente fuori dai canoni maschili. L'altro più che dentro, un modello da
imitare se vuoi. Anche se piange, ovvero mostra la sua sofferenza .. ma che
altro fa?
Marco si commuove
senza muovere. Lo attrae la donna che soffre e si illude di comprenderla
(Capisco molto di donne disperate). E si offre oggettualmente a questa
donna, passionale si ma che controlla e resiste al sentimento.
Che gli somiglia
all’inverso, che fa quello che lui non fa: affronta le situazioni di petto
(non per niente è un torero). Perché Marco, in realtà, segue, va a rimorchio.
Quando si commuove è assente, rimpiange. Piange su se stesso. Incapace di
esprimere alcunché. Composto.
Che altro fa? Il cavaliere che protegge la
sua dama, uccide i serpenti e li getta via. Ma non serve a niente, perché il
serpente è il problema. Non può essere eliminato, deve venire risolto. Il
problema è dentro .. la casa, la tenda. Egli non è in grado di scorgerlo, né
di risolverlo. Eliminando il serpente si perdono passi della relazione.
Perché il serpente deve mangiarsi la coda per rigenerarsi, cioè affrontare
le proprie ombre. Non risolve i problemi, li allontana.
Inizialmente
infastidito o imbarazzato da Benigno - maschile (in quanto uomo) gravido di
femminile - ne è comunque catturato. Così che Marco può accostarsi al
femminile-donna (è infatti affascinato da Alicia) per interposta persona. E’ un salto nel vuoto, con sotto la
rete.
A sua volta diventa un
modello maschile (fino ad allora assente nella vita di Benigno) a cui fare
riferimento.
Si trasformano
reciprocamente, perché si mostrano e si accettano l’un l’altro con
semplicità per quello che sono e si confidano. Forse perché si trovano in un
luogo di transito, dove nulla è strano in presenza della Morte.
La “colpa” di Benigno
e di Marco è la stessa, anche se con modalità assolutamente diverse:
nascondere.
Benigno è consapevole
della separazione fra se e gli altri. Non tiene conto delle opinioni altrui,
ma le usa come sotterfugio per fare ciò che vuole. Le usa per proteggersi.
Si nasconde. Lascia che pensino che sia omosessuale, ritardato, strano ..
fino a divenire un mostro.
La normalità isola il
diverso, perché il contagio non deve dilagare. La prigione è cosi poco
penitenziario talmente è asettica da sembrare più reparto d'ospedale per
infettivi (non è un detenuto, ma un internato, dice la guardia).
Il miracolo (Alicia
che si risveglia dal coma) viene disconosciuto, ma non del tutto. Marco è
rimasto contagiato.
Marco nasconde
l’emozione e, di conseguenza, scappa davanti ai sentimenti e a quanto vi
attiene (la nostra relazione funzionava solo nella fuga, dice).
Anche se molto
sentimentale, è incapace di contatto vero, di manifestazione vibrante. Non riesce a
comunicare ne ad ascoltare, ne tanto meno toccare e prendersi cura
dell’altro. Di fronte al Nino (il rivale) resta quasi imperturbabile e non
pone domande, né a se ne all’altro. Riesce solo a dire, prima, “qui non si
può fumare”, bisbetico. Dopo la rivelazione, la sua reazione è quella di
riprendere il lavoro. Nient'altro. Rientrare nella consuetudine. La normalità imprigiona.
Alicia rinasce perché
muore in Benigno l’eccessività del femminile.
Lidia, l’eccessività
del maschile (l’ambiguità che tutto vuole), muore quando si rende conto di
non esistere. Non é da una parte né dall’altra, perché non c’è relazione
nella menzogna. Morte che viene sancita dalla partenza di Marco.
Questa partenza è, in
un certo senso, una reclusione parallela “fuori dalla prigione”. Marco se ne
va nel momento in cui Benigno si trova a confrontarsi con la normalità.
Quasi un rientrare su tutta la linea, la mossa di Marco. Dare consigli e
defilarsi. D’altronde non è ancora che uno spettatore. Non corre certo il
rischio di perdersi fuori di se .. figuriamoci nell’altro.
Se ne va perché non
ha, o meglio crede di non avere ancora, legami veri.
Il suo rapporto vivo e
vivificante con Benigno si manifesta solo davanti alla morte dell’amico, che
non vuole più vivere in un mondo che non riconosce al sacro (i sentimenti)
la sua inviolabilità. Il sacro è stato violato non dall'Eros che gli
appartiene, il seme del miracolo ... ma dalla normalità che lo etichetta.
La menzogna con cui
Marco credeva di proteggerlo, dietro alla quale si è sempre rifugiato, si
frantuma.
Se vediamo tutti i
personaggi come una costellazione complessiva di un unico individuo, si può
supporre un confronto incrociato fra testa e corpo, ragione e inconscio. E’
il maschile e femminile di ogni parte. Ma anche fra normalità e quello che
si è. Qualcosa deve morire per integrarsi. Ma prima c’è separazione
drastica, dolorosa.
Benigno è la
trasgressione della normalità, a cui esteriormente ci si attiene, accettando
le varie etichettature senza contrastarle e sostenere il diritto di essere
un’entità, una monade. Ma questa finta ribellione costringe nella normalità,
comunque porta lontano da se stessi. Alicia è il sentimento “in coma”. Per
ritrovarsi bisogna sprofondare nel proprio essere fino ad annullare la parte
che limita.
Marco è l’applicarsi
senza pathos, l’agire non agendo realmente, che porta al fallimento perché
non c’è un proprio obiettivo. E’ l’adeguarsi a qualcosa di esterno per non
affrontare il proprio travaglio interiore. Lidia è il suo specchio, il suo
femminile ferito, ma se si occupa delle ferite di lei trascura le proprie.
Egli fa il cavaliere, si immedesima in un ruolo, ma non ci si può mettere al
servizio di altri se prima non ci si mette al servizio di se stessi.
La morte di Benigno è
diventare consapevole della perdita del proprio sentire e lasciare che
esploda, diventando motore dell’agire. E Alicia si risveglia.
Il tradimento di Lidia
è per Marco il primo passo verso la consapevolezza del proprio autoinganno,
che non consente di entrare in relazione davvero. Il suo starle a fianco non
è per stare con lei, ma per “fare il cavaliere” (Marco va da Alicia e per
la prima volta “parla”, per di più in una situazione irragionevole “non ha più
bisogno di me”, svelando una verità fino allora celata).
La morte di Lidia (del
sentimento trattenuto) è la molla che muove a interessarsi veramente
dell’altro, a tornare indietro.
L’amicizia fra Benigno
e Marco è la ricerca di una via mediana, anziché mistificante, fra ciò che
si è e la cosiddetta normalità. Così tutto diventa possibile. Possibile non
certo.
Perché se Benigno è
costretto alla propria follia, anche Marco lo è. Per Benigno, il
“subnormale”, il Matto è Marco (e tutti gli altri). Alla fine la
normalità, per quanto indotta, è intrisa di ciò che uno è e viceversa.
L’intrecciarsi delle
loro storie è il collegamento-relazione che permette una presa di coscienza,
di guardare a un’altra possibilità con misure un po’ più definite, cioè
procedere.
Quello che accade
fuori accade anche dentro, da qualche parte, in analogia simbolica, e
viceversa. Quindi la relazione di tutto con tutto, dentro e fuori, c’è anche
se viene bloccata e se ne portano le conseguenze, comunque.
Se non avessimo
conosciuto Benigno per quello che è, ciò che ha fatto sarebbe apparso un
abuso obbrobrioso .. non un atto d’amore estremo.
Il maschile si perde
intenzionalmente. Il femminile si addormenta perché altrimenti non lo
metterebbe a rischio.
Il film-racconto di
Benigno è la testimonianza della propria impotenza, alla quale si può
sfuggire solo annientandosi .. cioè lasciare che Eros annebbi
consapevolmente l’intelletto.
E’ rendersi conto
della separazione, e anche del fatto che la separazione è norma
trasgredibile. Perché la relazione
non sia incompleta, nascosta … limitata a una sola parte.
La relazione influenza
reciprocamente e trasfigura. Durante l’ultimo colloquio in carcere
all’immagine di colui che parla si sovrappone, per un gioco di riflessi e
ombre sui vetri, l’immagine dell’altro. Così che la separazione si annulla e
inizia l’integrazione che produce una monade (l’immagine unificante).
La morte indica che
non è più possibile nascondere e rende la separazione netta. Marco è per
Benigno la distinta cosa che rende possibile il ri-congiungersi. E
viceversa.
Ma la morte è anche la
rinuncia alla speranza, all’attesa. Come dire “non aspetto, tanto non si
sveglierà mai”. E’ sempre un atto estremo d’amore: non voler vivere senza
sogni.
Nasce una nuova
consapevolezza, che permette di osservare e riconoscere.
Il “sentimento”
(Alicia) rinato ricorda, confusamente, ma “riconosce”. Si accende un’eco.
Questo apre una porta possibile .. La visione di Marco è più ampia e per
questo più semplice, anche se il confronto con l’altro e l’apparenza sono
sempre in agguato (dialogo finale con l'insegnante di danza, la cui
professione è creare
rappresentazioni della realtà).
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