Prendimi l’anima
di Roberto Faenza
(per chi non l'avesse visto : questo commento può contenere elementi chiave e il finale del film)
Il film parla da se, ma
non poteva non essere citato.
Dunque, è proprio vero
che chi cura la pazzia conosce la pazzia. E lo fa per esorcizzarla, per guardare altrove da
dentro se, per superarla, per
trasformarla in consapevole pienezza. .
Pazzia deriva da
patiens, sofferente. Cioè da Pathos, intraducibile parola, che
governa il sentire portato dentro che spinge ad esplorare, rischiare e
sperimentare territori nuovi, fin negli anfratti più oscuri.
Patimento che esige di
manifestarsi, talmente stravolgente che lo si deforma alterandosi. Bisogna
immaginare, e immaginarsi in movimento dirompente che porta fuori ..
l’anima. E si è liberi.
Nel Pathos,
femminile-sentire e maschile-agire si uniscono.
Se Jung offre a Sabina un
simulacro della propria anima, Sabina lascia che egli si prenda la sua.
Diverso dal dare, che permette di porre dei limiti dentro e fuori.
Sabina trattiene
dolorosamente la sua vitalità attiva, maschile (d’altro canto il padre,
modello maschile, non è esempio positivo da seguire e, comunque, è una donna
in una società di uomini), impedendosi di vivere. L’unica attività che si
permette è scrivere .. a se (diario). Lasciandosi libera di agire,
nonostante la “sconfitta” affettiva, si riappropria della propria capacità
di essere anche “uomo” che propone, sceglie e decide.
Sente e agisce. Il suo
sentire è, di base, amore “oggettivo” *.
Costruisce la propria
vita e la spende fino in fondo con coerenza per le cose in cui crede.
* “Sabina voleva vivere d’amore, non morirne”
questa è la risposta di Marie al prof. Fraser che commenta
“ è questo l’amore
eterno?” perchè il
matrimonio di Sabina è avvenuto a pochi anni di distanza dalla rottura con
Jung.
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