L'indefinibile
realtà-verità. La "normalità".
SPIDER
di
David Cronenberg
(per chi non l'avesse visto : questo commento può contenere elementi chiave e il finale del film)
Spider significa ragno e
riconduce al racconto che Dennis, bambino, ama farsi narrare dalla madre.
Non sappiamo perché lo affascini, né perché e come lo colpisca al punto tale
da immedesimarsi fino a conseguenze estreme.
Al di là della morbosa
influenza che tale storia ha avuto sul protagonista, è interessante notare
che la tela del ragno è fatta dalla stessa sostanza del ragno stesso.
Così come il resoconto che Dennis, ormai adulto, annota, scomponendo e
ricomponendo i suoi ricordi. La sua storia, il suo passato, vengono tessuti
dalla sua mente che elabora rielabora e trasforma.
Non c'è mai nessun
testimone-osservatore esterno del suo vissuto. Se non lo si tiene presente
nasce, a volte, una sensazione di incongruenza e incompletezza.
Quale è la verità?
Questa è la domanda che
affiora, al di là dell’angoscioso travaglio del protagonista, perché la
verità è, assolutamente, una questione intima. Che uno sia pazzo o no. Non
c’è alcun mezzo di conoscere se ciò che una persona dice sia vero o meno,
sia frutto di una visione distorta o volutamente artefatto. Al massimo puoi
intuire o capire che qualcosa non quadra, che sta mentendo, ma resta da
definire esattamente su cosa.
La riflessione
sconvolgente che sorge dopo aver visto questo film è la consapevolezza
dell’’impossibile condivisione della realtà. Che è sempre soggettiva. Al di
là della follia.
E l’interrogativo
successivo che frastorna è .. sarà reale ciò che vivo o è solo nella mia
mente?
La follia, dunque,
diventa “visibile” se l’allucinazione porta a comportamenti esterni
distruttivi. Sebbene rimanga, a volte, un mistero la fonte o ragione
dell’offuscamento.
Altro film che tratta la
questione è
A BEAUTIFUL MIND
di Ron Howard
(per chi non l'avesse visto : questo commento può contenere elementi chiave e il finale del film)
Storia liberamente tratta
dalla biografia di John Forbes Nash Jr., genio matematico affetto da
schizofrenia. Atteniamoci al film.
Contrariamente a quello
che spesso si spaccia, il binomio inscindibile genio-follia, la genialità
qui risulta disgiunta dall’ossessione che sembra poggiare su un bisogno
esasperato di distinguersi e una solitudine profonda che crea il primo
fantasma: il compagno di stanza completamente diverso da lui, ma con cui
instaura una profonda amicizia.
Il personaggio è
indubbiamente un diverso. Di un’asciutta naturalità, quasi animale se non
fosse che la razionalità stronca ogni romanticismo (gli animali mettono in
atto fasi di corteggiamento). Difficile da accettare e digerire.
La sfera affettiva
risulta carente, ma non assente. L’attrazione è semplicemente tale,
scarnificata da moti di tenerezza. Non mente, nascondendo l’obiettivo di
congiungersi carnalmente dietro lusinghe ipocrite, ma nemmeno degrada.
L’attrazione bussa alla carne, il resto si aggrega dopo. Indubbiamente il
suo sentimento è rozzo, primitivo, e certo l’emarginazione come la mancanza
di confidenza emotiva lo inaridisce. Ma è una carenza che sente altrimenti
due delle sue allucinazioni non avrebbero senso di esistere : l’amico e la
bimba.
Il primo rappresenta il
bisogno di confronto, confidenza e fiducia che una parte di se brama, la
seconda plausibilmente il sentimento. Sono componenti di sé non vissute e la
seconda, in particolare, non è cresciuta – cioè non è stata nutrita essendo
rimasta orfana - né maturata.
Mentre l’agente
governativo, presumibilmente, simboleggia il padre-società che richiede di
sacrificare tutto per un’idea astratta e impersonale, cioè di obbedire ad
ordini “superiori” spesso incomprensibili. Da un altro punto di vista
potrebbe anche rappresentare lo sforzo di tenere a bada le proprie angosce e
paure che non riesce a identificare chiaramente.
Altrimenti che in Spider
qui esiste la “testimonianza” dell’altro. Il confronto è un ponte fragile,
tuttavia solido abbastanza da ancorarlo alla realtà. Si protendere
attraverso amore e fiducia, che rafforza la logica. Il sentimento (cioè la
moglie di cui non dubita) insinua il dubbio che stimola la mente ad
esaminare fino a cogliere l’anello debole : la bambina ha sempre la stessa
età e, quindi, non può essere reale.
Dunque il supporto non è
tanto o solo l’amore, ma l’altro di sé che viaggia in parallelo, vivo
nonostante tutto. Follia e ragione coesistono (egli continua ad avere le
allucinazioni), ma ne diventa consapevole così da riuscire a gestirle. E’
l’inizio dell’integrazione delle diverse componenti, reso possibile dal
confronto con l’altro.
Altro viaggio
inquietante, dove l’altro risulta meno partecipe e attento, è quello
trattato dal film
L’AVVERSARIO
di Nicole
Garcia
(per chi non l'avesse visto : questo commento può contenere elementi chiave e il finale del film)
che pure si rifà a un
fatto realmente accaduto.
La chiave di lettura, a
monte del film, è lo slogan con cui è stato pubblicizzato : Peggio di essere
scoperti è non venire scoperti. Cioè non avere quell’appiglio dato dal
confronto con l’altro che costringe alla realtà, che pone di fronte alla
ragione che in qualche luogo di se esiste.
E’ la fuga del
protagonista davanti all’ineluttabile verità, che non può essere tale perché
la menzogna ha coperto un arco di quasi venti anni, diventando per lui
l’unica realtà possibile.
E’ la fuga dell’altro
davanti al dubbio che turba e che si preferisce non affrontare perché
incrinerebbe la normalità quotidiana (L’amico che non raccoglie il
tentativo di “parlare”, di rivelare il punto da cui tutto è iniziato. La
moglie che non verifica. L’ex-marito dell’amante che non va a fondo dei
problemi coniugali. E così via.).
I rapporti sono permeati
da un’inquietante compostezza che elimina o mette in fuga ogni fonte di
disturbo (l’amante che si inserisce nella quotidianità
provocatoriamente,senza tuttavia scalfirla, e da cui si allontana
separandosi dal marito).
Ci si chiede se questo
personaggio, proprio perché ribalta gli schemi, rappresenti per il
protagonista il “faro” che pensa possa condurlo fuori dall’oscurità. E’ la
parte in ombra che tenta di affiorare e mostrarsi. Ma non funziona, perché
nonostante tutto, anch’essa aderisce alle regole dell’apparenza e
dell’immagine (il desiderio di guadagnare non le permette di chiedersi
perché lui non voglia investire i suoi soldi), che non lasciano spazio
all’essenziale. Ed egli è ormai soprattutto il personaggio che ha costruito.
La passione (di lui per l’amante) è troppo “educata” … diventa noia.
Indubbia passione, anche se soffocata, poiché egli vuole “liberarla” come la
famiglia che “possiede” (che amerebbe se non fosse incatenato dalla
forma).
Ognuno recita la sua
parte, ma non approfondisce il copione. Si limita solo alla propria, quella
dell’altro non interessa. Ma la vita coinvolge tutto ciò che partecipa ad
essa, che lo si accetti o meno. E, infatti, il dramma è condiviso alla fine,
in un modo o nell’altro.
Il mancato confronto,
l’inesistente comunicazione non permette di affrontare la parte nascosta di
sé, che giace inerte nell’oscurità ma non ancora morta. In qualche maniera
bisogna ucciderla.
Ciò che fa la
differenza nelle due storie è che in una la “buona educazione” non ha
intorpidito la natura del soggetto, nell’altra si. Uno risulta piuttosto
“maleducato” nella sua rozzezza, ancora reattivo, l’altro agisce in
“automatico” senza mai perdere il suo contegno nemmeno nelle situazioni
estreme.
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