La
        fertilità non dipende solo dal terreno, ma anche dall’intervento su
        esso. Soggettivo e esterno. Quest’ultimo, a volte, può danneggiare
        irrimediabilmente perché non rispetta le caratteristiche del terreno,
        indispensabili per produrre in maniera sana. 
        
        
         
        
        
        L’essere
        umano, per funzionare naturalmente, deve venire accettato per
        quello che è, e non trasformato in quello che altri vorrebbero fosse.
        Altrimenti avrà difficoltà a radicarsi, cioè accettarsi per quello
        che è, e poggerà su basi fittizie. 
        
        
        Si
        chiuderà in se stesso per difendere la propria vulnerabilità, ma
        resterà chiuso fuori anche lui.
        
        
        E
        dovendo, intanto, imparare a padroneggiare il suo corpo e la
        realtà oggettiva, per riuscire a gestirsi può tendere a controllare
        eccessivamente i sentimenti, fino a soffocarli e rimuovere il desiderio
        iniziale, per cui la realtà soggettiva rimane confusa e incompleta e
        lui alla ricerca di un terreno in cui rifugiarsi.
        
        
         
        
        
        Generalmente
        il primo intervento esterno proviene dalla famiglia di origine.
        In cui naturalmente il bambino ha bisogno di sentirsi accolto ed
        accettato.
        
        
         
        
        
        Il
        terreno e le radici su cui cresce influenzano crescita e costruzione di
        se. 
        
        
        
        Quando
        sarà il tempo di strutturare, ovvero di alzarsi e dire questo io
        sono, molto dipenderà dalle fondamenta gettate. Se ha assimilato troppa
        rigidità sarà rigido, al contrario sarà chiuso, raggomitolato,
        impotente.  O viceversa.
        L’obiettivo perseguito, ovvero il questo che si vuole essere, può
        venire determinato e condizionato da un’assimilazione e
        immedesimazione  acritiche o
        da un rifiuto reattivo dei modelli, entrambi devianti se le difese
        attuate persisteranno e lo intrappoleranno. 
         
        
        
         
        “Raddrizzandosi
        in piedi” diventa, tuttavia, possibile sia attingere dalle proprie
        radici ciò che è proprio e su questo poggiare, sia riorientarsi verso
        un obiettivo adeguato a ciò che si è.
        
        Un
        fattore importante per crescere in se, da non sottovalutare, è
        riconoscere che ognuno ha il suo tempo per imparare a strutturare
        solidamente, che merita rispetto.
       
      Le
        forzature non servono.  In
        modo da riuscire a usarlo come alleato, anche quando purtroppo ha i
        “suoi tempi”. Il che significa che forse c’è qualcosa ancora da
        preparare prima di procedere.
        
      
        Difficile
        in una società in corsa, che obbliga a un’alterazione del ritmo
        naturale e, così, interferisce nella comunicazione col proprio corpo,
        fisico e non, impedendone l’ascolto. 
        
        
        Imparare
        questo linguaggio, se non ci si appropria del proprio ritmo, può
        risultare difficoltoso. 
        
        
        Il
        tempo dell’attesa, dell’ozio costruttivo, è finalizzato a questo
        ascolto.
        
        
        Il
        tempo non è solo corsa in avanti. Se la testa è avanti, bisognerà
        fermarsi ad aspettare i piedi. E viceversa. O si continuerà ad essere
        fuori dal proprio tempo e da ciò che si è. Si inseguirà altro che non
        basterà mai. 
        
        
         
        
        
        Si
        rincorrerà un’immagine sociale, che dà al lavoro un valore
        produttivo fine a se stesso (o meglio a una gerarchia
        insensata)  e non come
        capacità e manifestazione creativa di se. Nel senso che un qualsiasi
        lavoro dovrebbe essere fatto con piacere .. e non per obbligo.
        
        
        Ma
        questo è un discorso difficile.