Funzioni e Arcani

 

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Relazione

 

La relazione con l’altro è lo specchio che ci rimanda una parte di noi in ombra (2 Papessa, 18 Luna). E’  la misura per riuscire a scoprirsi e conoscersi (6 Amanti, 11 Giustizia, 14 Temperanza).

E’ una attitudine a confrontare e criticare i diversi criteri per metterli in relazione e comprendere (6 Amanti, 9 Eremita, 11 Giustizia, 20 Giudizio). La critica non ha una connotazione negativa (o positiva) non implica affatto una s-valutazione, vede semplicemente l’altro per quello che è.

 

Ma è anche un salto nel buio (0 Matto) che si rivolge a tutto ciò che si è (0 Matto, 8 Forza). E’ il richiamo delle origini che sollecita i due principi a collegarsi per mettere radici (1 Mago + 2 Papessa, 3 Imperatrice, 4 Imperatore). E’ l’invito a trasgredire i limiti per superarli (6 Amanti, 15 Diavolo). Accettare questa sfida (10 Ruota) e mettersi in viaggio confrontandosi nelle diversità (7 Carro, 11 Giustizia), manifestandosi completamente (5 Papa, 8 Forza, 15 Diavolo) apre a una nuova visione della realtà che dà speranza (9 Eremita, 17 Speranza) di far saltare i muri che separano (16 Torre).  Si rinasce, lasciando dietro se ciò che più non è (13 Morte)  e si procede fra gioia e turbamenti (19 Sole, 18 Luna), abbandonandosi al Tempo necessario (10 Ruota, 14 Temperanza), per accettare l’altro e togliere ogni maschera (12 Appeso) portando alla luce un volto di sé più completo (20 Giudizio, 21 Mondo).

 

Quando scatta un’attrazione (o un’avversione) non sono le diversità in se a creare dissonanza, ma i lati in ombra irrisolti - repressi, rimossi o deformati - che l’altro cattura, che si mettono in movimento alla rinfusa urtando contro funzioni usate impropriamente. 

Se sono ricacciati al punto da sembrare assenti, li si proietta sull’altro.  

 

Si ammira nell’altro ciò che si vorrebbe avere. Qualcosa che si riconosce di se, inconsapevolmente perché "addormentata". Diventare consapevoli di ciò, contagia e mette in moto una trasformazione per integrare questa parte di se. Altrimenti il rischio è quello di usare questa caratteristica attraverso l’altro, con una tendenza a risucchiare, manipolare, a essere possessivi, soffocanti, statici, a sognare più che agire. O subire tutto questo.

Oppure lo si respinge drasticamente perché fa sentire miseri, impotenti, perché confonde e disarma. Mortifica. E, allora, anziché tentare di ricomporre la frattura, si annienta l’altro.

 

Se ne detestano gli aspetti che in noi sono fonte di conflitti nascosti. Queste schegge non ancora integrate che pretendono di essere riconosciute infastidiscono … nell’altro.  Mentre magari non le si vedono in se.

Se l’altro non interessa particolarmente (in bene o in male) o, a volte invece, se il coinvolgimento è troppo intenso, lo si evita.  

 

Proseguendo la relazione, quei difetti così irritanti verranno messi in ballo a sproposito, deviando dal nocciolo delle questioni reali, che non saranno affrontate direttamente.  Ci si arrocca sulle proprie posizioni, con freddezza e indifferenza, per disintegrarlo, mortificarlo, punirlo. Gli si urla contro, lo si sfida, minaccia. Con esagerazione, in ogni caso, e spesso con una certa vanità, lo si pone di fronte al controverso, all’incompatibilità e si accatastano motivazioni razionali che inchiodano la frattura. Per non guardare all’estraneo che ci abita.

Le reazioni dipendono dal temperamento e dalle difese in atto.

Comunque l’inganno impera nella non consapevolezza, con una virulenza violenta agita o silenziosa.

 

Però non esageriamo rispetto a queste proiezioni. A volte l’altro è veramente incompatibile, un ostacolo al proprio percorso. Uno con cui non si vuole avere a che fare perché “lavora contro” Libertà e Sacro. Le energie non si intrecciano, il radar interno registra un disturbo oggettivo. Non è che necessariamente dobbiamo “salvare” tutti. 

Influire costruttivamente sul proprio mondo.  

 

Davanti a un rapporto rifiutato (in parte o del tutto) sarà bene riflettere su cosa realmente si respinge.

Di fronte a una relazione che si rompe è necessaria una rielaborazione per comprendere, per trattenere ciò che ha insegnato eliminando l’inutile. Solo così si conclude realmente l’esperienza e ci si può avviare verso una nuova. Per non correre il rischio di ripetere modalità distorte e applicare un accumulo di reazioni ingiustificate ai nuovi rapporti a venire. Partenza estremamente disagevole.

 

Se diverse relazioni ripercorrono un percorso simile, indicano la presenza di zavorra interiore.

Forse, anziché rapportarsi davvero con l’altro, si sta tentando di risolvere un conflitto a monte. E l’altro può attrarre perché richiama un “fantasma”, da ri-conquistare, vincere o punire. Una rivincita, insomma.

Ma non funzionerà. L’obiettivo è altro, evidentemente.

 

Se poi si da per scontato di non potere avere ciò che si vorrebbe (impossibile se non si risolvono gli “ostacoli” interiori), ci si aggiusta a  situazioni pur sapendole “non conformi a se”, pensando che sminuendo le aspettative ci si possa stare dentro. Ma quasi certamente sarà uno smacco (per fortuna) perché  si entra in rapporto con qualcosa d’altro, mentre le vere aspettative persistono anche se inconsciamente.  

 

Sconfitta su sconfitta la delusione accumula il muro con cui non ci si permette di credere e, quindi, muoversi verso ciò in cui si potrebbe credere ... se non mettesse agitazione.

 

Al disagio si mescola la paura, la vergogna di qualcosa che si ritiene sconveniente. Che lo è perché “bistrattata”.  E’ necessario eliminare i malintesi interiori, per evitare fraintendimenti con l’altro. Ma bisogna essere precisi.

 

Se si entra in relazione su fraintendimenti interiori, con l’altro (che potrebbe averne a sua volta) non ci si capirà nemmeno quando ci si capisce. Ognuno parte da presupposti oscuri all’altro ... e troppo sovente anche a se stesso.

 

Vale a dire.

Se voglio essere libero e non avere legami, da un lato. Mentre dall’altro sento la mancanza di un rapporto che mi radichi ai miei sentimenti. E’ necessario che accetti il fatto che né l’uno né l’altro bisogno è “superfluo”. Per cui devo accettare il limite alla mia libertà e alla mia sicurezza emotiva, ovvero che c’è anche l’altro bisogno. Non certo sacrificandone uno, con conseguente malessere, confusione, ambiguità e malcontento. Perché irrigidirò una parte esagerando l’altra e viceversa.

 

Ma bisogna verificare che le due tendenze siano originarie e non il frutto di “malformazioni” indotte.  Nel qual caso sarebbe sì possibile sacrificare quella “impura”.

A volte, attanagliati da questo dilemma, si nasconde all’altro una parte di sé. Gli si mostra ciò che (si pensa) si aspetta, che diventa la verità in quel momento. Si evita tutto ciò che possa far pensare qualcosa che non è. In realtà si teme scopra ciò che è e di cui ci si vergogna.

 

Cosa sta dietro la vergogna?

Qualcosa che non è stato accettato e con cui non si è entrati appropriatamente in confidenza.

Vergogna deriva da verecondo che significa aver paura, temere.

Dunque non si nasconde qualcosa per timore di essere giudicati non “buoni”, ma per non venire modificati, cioè si protegge qualcosa di importante che non si vuole venga alterato. Inconsapevolmente.

Il “bambino” resiste ma si sente in colpa. Perché non ascoltarne la voce, il bisogno?

 

La cosa buffa è che a volte il “bambino” è così caparbio che ostenta la vergogna provocatoriamente. Anche se, magari, dentro un vestitino beneducato. Proprio come a dire e a dimostrare “non sei riuscito a modificarmi perché io sono senza vergogna”. Ma resta bloccato sulla difensiva, senza riuscire a risolvere il conflitto.

 

Dunque bisogna analizzare e comprendere con attenzione.

Solo così è possibile inventare un legame che risponda a tutte le tendenze.

Però, per non confondere e ostacolare il rapporto, è necessario esternare le verità tutta, anche se frammentata. Il che presuppone il (voler) conoscersi a fondo.

   

La mancanza di chiarezza accumula sul dilemma fraintendimenti, malintesi, preclusioni, prevenzioni .. tutti i pre-costituiti possibili.

Per assurdo si potrebbe incontrare qualcuno che ha lo stesso nostro conflitto, di cui mostra solo una parte, quella più accesa che oscura l’altra opposta, simile alla nostra. E ci si scontra, ferisce inutilmente, perché non ci si confronta integralmente.

 

Voglio essere libero, grida Alfa. E Omega per il timore dell’abbandono si aggrappa. Quando si arrende e lascia andare la presa, ecco che subentra in Alfa l’altro bisogno e, allora, può agire in modo che Omega non se ne vada. Ma poi si ricomincia da capo.  

Voglio amare, grida Omega. E Alfa per la paura dell’abbandono si chiude. Se inaspettatamente si apre, Omega teme inconsciamente per la sua libertà e, dunque, gli chiuderà in qualche modo la porta in faccia. Ma poi si ricomincia da capo.  

Voglio amare dicono entrambi e per la paura dell’abbandono si aggrappano l’uno all’altro. Ma si soffocano e allora si troverà qualcosa da rimproverare all’altro, per lasciarlo o essere lasciato, tradirlo .. per essere liberi

Voglio essere libero proclamano entrambi e per il timore dell’abbandono non si radicheranno. E a entrambi mancherà qualcosa che continueranno a cercare ..

E così all’infinito. E’ il malinteso interiore che confonde.

 

La paura dell’abbandono è il non essere stato accettato per quello che si è. Che ha creato difficoltà ad accettare una o più parti di sé, “abbandonandole”. Per cui non le si riconosce, se non come vergogna, né tanto meno è possibile esprimerle chiaramente. Ma si affacciano in modo improprio, facendoci sgambetto, perché giustamente pretendono di esistere.

 

La stessa paura. Le stesse tendenze. Difese diverse.

Ognuno protegge ciò in cui più è stato ferito.

Ma cosa si può perdere? .. se non la frattura.

  

Le difese si trasformano in prigione, che precludono un confronto alla pari, di reciproca accettazione. Sulla difensiva si traggono conclusioni mentali unilaterali, ci si lascia distrarre dai timori e si smette di ascoltare l’altro. Si tace.

A volte si da per scontato qualcosa che l’altro non sa, quasi pretendendo che lo “immagini”. Oppure qualcosa che non si sa, ma si ritiene vero (perché così è più facile). Il sottointeso dovrebbe essere manifesto per evitare equivoci e ambiguità.

 

E’ indispensabile ritornare indietro, alle origini. Non necessariamente si tratta di capire il perché, ma di trovare la soluzione al malfunzionamento. Uscire dalla paura e rischiare di VIVERE.

 

Riconosco nell’altro qualcosa di mio … che manca, eccede, tace o mi somiglia.

Mi riconosco, quindi l’altro non è altro da me.

Se lo rifiuto per non confrontarmi, non c’è nemmeno il confronto interiore rispetto a ciò che l’altro ha sollecitato. Mentre sarebbe importante capire esattamente cosa mette in subbuglio.

Il non risolto grava su tutte le altre relazioni .. perché prima o poi il problema si riporrà di nuovo.

Conosco veramente l’altro quando ne ho esperienza. Ovvero non basta frequentarlo, bisogna abbassare le difese, aprirsi almeno un po’ e lasciarlo entrare.

 

Conosco veramente me stesso quando ne ho esperienza, il che significa usarsi e osservarsi e riflettere .. e confrontarsi.

Porre domande precise e dare risposte precise. A se e all’altro.

 

Qual è la ferita?

Non essere stato amato incondizionatamente, cioè non essere stato accettato per quello che si è.

Mantenere la frattura significa continuare a dipendere dall’altro.

Ricomporla è l’unica “vendetta” possibile.

Accettarsi e amarsi per quello che si è, manifestare la propria integrità, apre all’altro.

Solo così si potrà vegliare sull’Altro, amarlo incondizionatamente per quello che è, essendo comunque ciò che si è, senza che questo determini uno scontro di potere. Il che significa no oggettivi e la ricerca di una soluzione.

 

La domanda giusta non è “questa persona mi vuole abbastanza, tiene sufficientemente a me?” bensì “tengo abbastanza a me e a questa persona da accettarci per quello che siamo e darle ciò che voglio darle e accogliere ciò che mi da?” senza altri pensieri.

Non amarsi invalida l’amare e rende scettici sul fatto che l’altro possa amarci veramente.

 

Lo scambio si impoverisce, viene impedito. La comunicazione, sia in entrata che in uscita, filtrata dalla paura esclude il significato, lo fraintende creando incomprensioni. Diventa più facile credere a ciò che fa paura, quella di sempre ormai conosciuta che non si riconosce più come tale,  piuttosto che affrontarla e disinnescarla. Cioè non ammettere il proprio sgomento e panico.

Manca la fede in ciò che si fa, pensa, vuole, … in se.

Non ci si accetta e automaticamente si pensa che l’altro non accetterà ciò che si ritiene inaccettabile. Lo si tace, resta l’ombra delle domande taciute o non sufficientemente chiare, dentro e fuori contemporaneamente. Così si vivono due storie disgiunte, ognuno la sua.

Si cerca di nascondere quella che si ritiene la propria piccolezza, mentre si cerca di dimostrare la propria grandezza. Per poi magari fare esattamente il contrario. Il problema non è il giudizio dell’altro ma il proprio severo rimprovero interiore.

 

Il disagio nasce dentro e l’altro lo scuote da fuori inavvertitamente. Ma anziché fuggire .. e metterlo a nanna .. sarebbe più intelligente scoprire cosa e perché fa irrompere il senso di inadeguatezza, il timore di non essere all’altezza, tutte le paure. Tanto prima o poi si risveglierà sempre più angosciato.

La sensazione di essere carenti rivela che qualcosa non viene utilizzato. Se ti vergogni, quello che fai è sbagliato. Ma cosa in realtà? Quello che fai o la vergogna? Dunque non ne sei convinto pienamente, c’è un irrisolto.

 

Si valuta l’altro partendo dal valore che si da a se stessi. Se la misura è difettosa, la si applicherà malamente, in difetto o in eccesso che sia. L’altro può anche essere migliore .. o peggiore, nel senso di più o meno armonico. Questo non è certo un problema, se mi fa star bene. Lo diventa, per entrambi, se non mi faccio star bene da me.   

 

Non si da. Non si prende oppure si. Ma senza dare non si trattiene alcunché, perché si è chiusi. Dalla bocca all’ano direttamente.

 

Dare solo perché si ha voglia di dare, senza il timore che l’altro ne approfitterà, è un lusso che bisogna prendersi.

Dare è opposto al non dare e non a ricevere. L’abbinamento dare-avere vale solo in contabilità.

Così ricevere. Ricevere senza il bisogno di dare in cambio, senza doversi sentire di ricambiare e per di più alla stessa altezza del ricevuto. Perché ricevere con gioia gratitudine sorpresa .. è già contraccambiare . Una soddisfazione per  chi ha dato.  

 

Decidere quello che realmente si vuole e quello che sicuramente non si vuole è un modo di cambiare ottica. Perché imparando a definire cambiano tutte le prospettive e di riflesso le modalità. Non si tratta di un baluardo da difendere ad ogni costo, ma un obiettivo preciso che segnerà il percorso da seguire con tutti gli adattamenti necessari a raggiungerlo.

Meno austerità più semplicità.

 

Cosa vuole l’impulso? Cosa vuole il sentire?

Cominciamo da qui: mettiamoli in relazione.

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