Il
Diavolo, l’arcano numero 15, è percezione della duplicità e
tentativo di “catturarla” attraverso l’altro, l’opposto, per
conoscerla e assimilarla. Mescolato al desiderio di strangolare la
materia in cui si penetra, quella dell’altro e la propria.
E’
confronto diretto con le motivazioni implicite.
Quale bisogno viene
soddisfatto, il puro impulso alla soddisfazione dell’ego o il
desiderio di fusione totale? Quale sentimento? E in quale relazione
stanno .. falsata o precisa? L’importante è che sia chiaro. Perché
ci sia comunque rispetto e cura dell’ “avversario”, che manifesterà
nell’atto, a sua volta, tutto questo in un modo o nell’altro.
Il
puro impulso chiede, naturalmente (come le altre funzioni), di imparare
prima di trasformarsi in desiderio d’unione. Di essere educato. Prima
di poter dire quale cibo piace, bisogna assaggiarne.
Fin
qui tutto bene.
L’uso
improprio è sconveniente, come per ogni funzione. Cioè adoperarlo per
ottenere qualcosa, non dire no per non rischiare di perdere qualcosa
rifiutando (essere accettati, non essere abbandonati .. o altro che
sia). Per dimostrare la propria potenza, per soggiogare. E via.
Dire
“E’ peccato” non ci sposta di una virgola. Rispetto a cosa?
Dal
sesso nasce la vita. Per questo è Tabù, che non significa soltanto
interdetto, ma anche sacro e quindi andrebbe trattato con cura. Al di là
di ogni concetto morale.
Quindi
se è sacro è strettamente connesso al sentire. E il sentire senza
libertà è un po’ sordo.
Libertà,
innanzi tutto, dalla paura del “contagio” che trasformerà. Dal
sentirsi “non buoni”, che può confondere.
Bloccare
i sentimenti porta a emozioni invasive, a uno scompenso che può
tradursi in rifiuto-rigidità o in eccesso promiscuo
(16 Torre, 15
Diavolo). Oppure entrambi a fase alterne.
Superata
la naturale fase di sperimentazione, un’abituale promiscuità tradisce
questo blocco. Porta al bisogno di emozioni-esperienze continuamente
nuove o forti, perché altrimenti non si percepisce alcunché. Tuttavia,
in quanto surrogati, non saturano.
Non
c’è ancora una coscienza così ampia, comprensiva cioè di ogni
essere umano (generalmente non va oltre l’uscio del gruppo cui si
sente di appartenere), da poter pensare che la promiscuità sia amore
libero. Chiamiamola per quello che è, nella sua veste naturale
confronto e esperienza di sé e dell’altro. Compensazione e
condizionamento culturale, se se ne s-parla troppo. Oggi, nella nostra
cultura, è soprattutto un urlare battendo i piedi per la paura. Troppo
naturale per una società cosiddetta civile.
La
paura dei sentimenti, di nuovo, perché
si è stati rifiutati per quello che si è: liberi e sacri.
La
paura che si smaschera usando il sesso come una dimostrazione di libertà,
dissacrandolo perché si strumentalizza
l’altro anche inconsapevolmente, con tutte le conseguenze che
ne derivano. Si applica la tecnica del potere, del dimostrare anziché
del piacere, del lasciarsi andare (a essere ciò che si è).
Nel
rapporto sessuale si è nudi come nelle braccia della mamma.
Che
questo abbraccio possa influenzare?
Allora
se la madre, partendo dal presupposto, vero, che il bambino ha bisogno
di lei, applica un assioma scorretto indifeso=incapace, non si rapporterà
alla pari ma deciderà per lui in base alla propria norma, anziché
considerando quella del bambino. Anche “proteggendolo da se stesso”.
Rapportarsi
alla pari non significa avere lo stesso peso (non è mica una partita di
pugilato) bensì rivolgersi all’altro con lo stesso rispetto
e riguardo che si vorrebbe per se. Cosa che implica accettazione.
Amare
nonostante ... cosa significa? Amare anche se è contro o amare non ostacolando
(non stando contro)?
Essere
(o mettersi) nudo e senza difese nelle mani dell’altro, non giustifica
che l’altro faccia quello che vuole.
Ma
può sbagliare comunque … E questo, forse, non ha poi così importanza
se è l’atteggiamento di fondo quello che viene percepito e assorbito.
Non
si ama qualcuno perché ha bisogno, se ne ha cura caso mai per questo.
Si
ama perché si ama.
Amare
per un bisogno corrisponde a soddisfare il bisogno. E’ un’altra
cosa.
Ti
amo perché hai bisogno di me, fa sentire (cioè la funzione
sentire è bloccata) .. forti, necessari, generosi, .. “guarda cosa faccio per te”. E permette di tenere la
situazione sotto controllo.
Ti
amo perché ho bisogno di te, colma una mancanza “guarda quanto sei
importante per me!” e spinge ad aggrapparsi a colui che ama la
“nullità che sono”. Con la costante richiesta di dimostrazioni che
non bastano mai. Altra forma di controllo.
Quando
terminerà il bisogno, cominceranno le recriminazioni.
Prima
o poi, l’amato perché ha bisogno tenterà di essere se stesso,
giustamente, e l’altro cercherà di intrappolarlo, costringendolo,
anche con sensi di colpa per
l’ “ingratitudine”.
Mentre
l’amante perché ho bisogno, che avrà cercato in qualche modo di
diventare necessario all’altro, si sentirà tradito e ricatterà
moralmente.
Nessuno
dei due ama per il proprio piacere, quindi non può darsi .. può dare
parte, se non altro, di se.
Cosa
mai sarà il rapporto sessuale?
Un’altalena
sado-masochista. Non necessariamente ratificata da palesi modalità,
cosi dette, devianti. - Il sesso può essere gioco, rappresentazione
trasgressiva liberatoria. – Tutt’al più da una ripetizione costante
di queste, quasi una ritualità ossessiva, che la rivela. Ma è
probabile si attui soprattutto a livello emotivo.
L’amplesso
potrebbe anche essere più che soddisfacente, ma l’orgasmo raggiungerà
i sentimenti?
Perché
“hai bisogno di me” deve dimostrare forza e potere. E “ho bisogno
di te” sottomissione.
Ma
anche il sesso si muove su due principi, se non è altra cosa.
Se
non ci si abbandona al femminile il maschile non può essere
“libero”.
Il
bambino piccolo, nudo e indifeso, non ancora coperto da paure, non ha
pudori. Ovvero è nudo, ma non si sente vulnerabile.
E’ integro, la frattura non lo ha ancora segnato.
Il
"bambino", nudo e inerme, corazzato da tutte le sue difese ha pudori e
ansie (sarò all’altezza? si chiede), che lo disarmano visto che i due
principi non cooperano.
Il
sentimento non può mancare, anche se l’incontro può essere fugace.
Ma in fondo non lo si sa, se si sta veramente mettendo in comune la
propria materia con quella dell’altro.