In un certo senso le prime tre funzioni servono all’orientamento.
Se non ci si riesce a orientare (dal lat. oriri sorgere), non si può proseguire, né
tanto meno andare oltre poiché l’esperienza non lascia traccia. Ci si
muove senza sapere verso cosa,
a tentoni
(18 Luna)
o abbagliati
(19 Sole)
da
qualsiasi cosa. Si mortifica
(13 Morte),
soffoca
(14
Temperanza),
turbati da conflitti che mettono agitazione o
pietrificano
(15Diavolo e
16 Torre),
si narcotizza la speranza con sogni campati in aria
(17 Stella),
ci si arrovella in pensieri controversi
(20 Giudizio)
e si brama l’impossibile
(21 Mondo).
Se viene a mancare il legame fra le prime tre funzioni,
tutte le altre ne risentiranno.
Una
certa difficoltà nel riuscire a collegarle armoniosamente deriva
dall’applicare la morale a qualcosa che ne è al di fuori, perché
naturale e finalizzato alla vita. Che non ha nulla a che fare con un
generalizzato “il Bene e il Male”. Bene e male rispetto a cosa?
Il
bambino deve essere accettato per quello che è, per riuscire a ben
radicarsi e procedere verso
un sano adattamento, considerando senza ansia ogni aspetto interno e
esterno.
Se non viene accettato resta esclusa una parte di lui. Cosa
mai potrà manifestare se
non un’apparenza irreale (ahimè spesso definita normale) per
sopravvivere, anziché vivere. E chi sarà a muoversi, ad andare verso
l’altro, a sperimentare? Un’immagine, che non può imparare altro che nuove immagini da sostituire?
Il bene e il male, scissi saranno in perenne lotta fra
loro. Unificandoli la lotta svanisce e la Vita può "sorgere" nel rispetto di entrambi.
L’amore non è semplicemente legame, unione .. sta al di
là della frattura, accetta “quello che è”.
E’ la frattura che invalida l’orientamento. Quindi non
tanto la mancanza di amore, ma il non essere stati amati per quello che
si è, cioè accettati nella propria integrità.
Ma se non ci sono riusciti gli altri possiamo riuscirci da
soli. Amare e essere amato sono scollegati fra loro, poiché non sono
opposti (ad amare si oppone non amare/odiare, non certo essere amato …
così come a dare si oppone non-dare e non prendere). Sebbene amare
favorisca l’essere amato, ma non viceversa. Se si ama perché si è
amati, si risponde a una mancanza.
Amare è una questione talmente semplice e naturale, da
confondere quando normale e naturale non combaciano.
Fino
a che si aspetta che l’altro ci ami, cioè ci accetti e confermi per
quello che siamo, le funzioni verranno direzionate verso questo
obiettivo,
per cui usate impropriamente. Sia che ci si comporti da
bambini beneducati o maleducati.
Perché educato sta nel mezzo, cioè viene condotto fuori e
manifestato “quello che è”.
Amarsi, nel senso di accettarsi, per Essere
inte(g)ri … perché l’amore possa raggiungerci. Per poterlo
trasmettere.
Se una funzione non è integra, deve essere ripristinata,
altrimenti ne risente tutto il ‘sistema’ (dal gr. sýstema riunione, raccolta, col der. systematikós che forma un tutto, un insieme).
Si può procedere comunque, ma con una zona off-limits che
in qualche modo sbilancerà.
Solo quando il ‘sistema’ è pronto a funzionare
compiutamente l’essere è vero (pronto in greco si dice etymo, che
significa vero) e riesce ad agire spontaneamente, in libertà. Tutto
diventa più semplice e possibile, le energie fluiscono in modo
naturale: gli impulsi finalizzati
(perché) i sentimenti vengono
percepiti, e la mente può osservare e
collegare, senza presumere. Ogni livello è libero da paure inibenti.
L’essere umano è come un bambino in eterno divenire.
Poiché lo sviluppo delle funzioni è infinito, ha sempre qualcosa da
imparare. Se sbaglia, significa che non ha imparato - spesso perché
all’inizio non gli è stato trasmesso chiaramente quello che gli
serviva - e dovrà ricominciare.
La ripetizione costante di un errore è il segnale di un
fraintendimento che devia dal percorso originario. E’ necessario
comprendere dove ci si impiglia per riprovare con modalità diverse.
Il bambino svita, smonta, apre - a volte anche rompendo la
cosa - per scoprire cosa è, cosa contiene e come funziona. Rompere e
guastare fa parte dell’esperienza. Il dispiacere per la cosa rovinata
è di per se un
“castigo” (dal lat. castigare, all'origine render puro, casto qualcuno) che insegna a porre maggiore attenzione, che stimola a
imparare ad “aggiustare”.
Il “bambino” dispiaciuto per aver rotto qualcosa ha
bisogno di capire perché questo è accaduto, se e come è possibile
aggiustare. Per non ripetere l’errore, per non darsi per vinto subito
e distrarsi futilmente. E se nulla è possibile, allora la consolazione
è un buon rimedio. Con lo sdrammatizzare per evitare sensi di colpa,
altrimenti i sentimenti si sovrappongono creando confusione.
Il “castigo” mette di fronte alla realtà, cioè
insegna a padroneggiare e perfezionare l’agire, perché possono
tornarci indietro reazioni “dolorose”. Così si impara a
distinguere. A rispettare la propria integrità e quella dell’Altro. A
rinunciare, a farne a meno .. quando questo abbia un senso ..
Fino a che sbaglia significa che non ha assimilato a sufficienza. Se la lacuna viene trascurata prima o
poi il problema si riproporrà, a volte con una costanza
“ineluttabile”, quando portare a compimento l’esperienza è ormai
irrimandabile.
Il vantaggio del bambino reale è che, pur inconsapevole,
ha una visione globale. Conosce il suo sistema ma non sa ancora usarlo.
L’essere in divenire, non più bambino, ha perso questa
conoscenza e, in un certo senso, deve riconquistarla per rinascere
integro. Liberandosi dai falsi concetti omologanti della cultura in cui
vive, che lo limitano rendendolo non vero.
Tanto più la “normalità” sarà innaturale, cioè non
a misura d’uomo, tanta più fatica richiederà l’accettarla,
nonostante i condizionamenti costanti da più parti. Il pericolo è
confondere “normale” con
“naturale” e, di conseguenza, sentirsi deviante e anormale.
Sentimento che porta a trasgressioni esagerate o a un mascheramento
penalizzante, che prima o poi può esplodere catastroficamente.
Ciò che il maschile
(la parte attiva, il Mago)
vuole
è la Libertà.
La libertà di conquistare, di conoscere, di
manifestare, di distinguere, di muoversi, di espandersi,
di progettare, di cedere.
Ciò che il femminile
(la parte passiva, la Papessa)
vuole è la Sacralità.
La sacralità del sentire, del comunicare, delle radici, dell’avere cura, del
penetrare, del sapere, della responsabilità, dell’unione.
La parità esiste solo nel rispetto di questi
desideri. Il che significa che se il femminile chiede la libertà e il
maschile la sacralità, per un fraintendimento sui termini, non è la
parità a essere ricercata.
Se i sentimenti sono Sacri ciò che viene fatto non
ha importanza, poiché non può intaccare. Ma se non lo sono, anche il
rispetto sarà offesa a chi lo si porta, per un’implicita ipocrisia
che toglie al maschile l’agire libero. Cioè “ti porto rispetto
perché così si fa e non perché sei sacro”, che in un modo o
nell’altro determina una costrizione reciproca.
Se non esiste per me qualcosa di sacro, mi è
impossibile la libertà.
Libertà e Sacralità sono strettamente legati.
Il maschile è ciò che è in movimento perpetuo
(dimostra, afferma anche disobbedendo, reagisce aggressivamente). Non
gli basta mai .. chiede e
non ascolta, non da. Solo quando “tace” e si acquieta, accetta la
presenza dell’altro e si mette in ascolto. Allora il Femminile può
essere. A una contrazione segue
un’espansione liberatoria: lo slancio per qualcosa che è sacro.
Il femminile è ciò che è
rilassato, fermo (alimenta,
sostiene, cura anche risucchiando, dando troppo, soffocando dietro le
sottane il bambino che chiede). E lo vuole mantenere. Solo quando sente
che l’altro è altro da sé, si apre. Ed ecco il Maschile sorgere. A una dilatazione segue una contrazione che consacra: l’appagamento della
libertà.
Sono i due poli primigeni della vita che vengono
messi in comunicazione, a confronto, compresi e unificati.
Continuiamo a ri-proporre vecchi schemi che non hanno
funzionato e che tentiamo di far funzionare camuffandoli, sordi a chi
dissente fuori da queste regole, senza la capacità di farci raggiungere
e raggiungerli per inventarne di nuovi e flessibili.
Generalmente, estremizzato e frainteso da fattori
culturali, il maschile si incarna nell’uomo e il femminile nella
donna. Tuttavia questa non è la regola. L’importante è che ognuno si
chiarisca rispetto a sé stesso, ai propri poli e li accontenti
entrambi. Per quanto uno dei due possa sembrare preponderante, la forza
dell’altro è altrettanta. Passa solo sotto coperta.
Per me l’amore è Sacro, per cui voglio agirlo in
Libertà.
Per me l’amore è Libertà, per cui voglio renderlo
Sacro per potermici adagiare.
Cioè senza costrizioni, obblighi, ipocrisie. Ai quali se
sottostò dissacro amore e perdo libertà. Solo io posso chiedere a me
stesso di fare qualcosa che non ho voglia di fare per l’altro, e non
tanto per il suo piacere, ma per il mio. Sia che voglia il Sacro che la
Libertà.
Libertà nell’agire e nel pensare.
Sacralità nel sentire emotivo e fisico.
Ci si può sottomettere, cioè adattare, solo a ciò
che si ritiene sacro altrimenti è sconfitta anche se si vince.
Se viene perso il Sacro subentra la Accidia, che
diventa Gola, Lussuria
(15
Diavolo).
Se viene persa la Libertà subentra l’Ira, che
diventa Avarizia, Superbia
(16 Torre).
E di Invidia entrambi muoiono.
Dall’incontro col
primordiale
si torna indietro cambiati.
Atto di fede non è mettersi nelle mani dell’altro,
ma togliersi dalle proprie.
Si esce da quello che si è per incontrare l’altro.
Perché essendo altro non posso essere solo me.
Se ci si sclerotizza, la frattura si espande e le
energie-funzioni risulteranno scollegate.
|