C’è
una sorta di segregazione (per
usare un termine forte), subita o agita, nel senso di essere chiusi
fuori o di chiudersi fuori dal resto.
Che dovrebbe svanire con lo sciogliersi del problema, cioè
quando viene trovata un’identità soggettiva (sia che riguardi un
individuo che un gruppo) che re-immette “dentro”.
Se
ciò non avviene entro un termine naturale, significa che qualcosa non
funziona a dovere. E può essere una disfunzione individuale o sociale.
Una
vera comunità permette
all’individuo di “sgrezzarsi”, in base a ciò che è e al suo
ritmo, riconoscendo ad ogni individuo la sua unicità. Perché è
proprio la sua peculiarità la ricchezza che può mettere
in comune con gli altri.
Non
può, quindi, ritenersi una vera comunità qualsiasi aggregato che non
si basi su questo principio.
L’aggregamento
omologante è funzionale al potere prevaricante di una parte su altre,
che vengono emarginate.
L’emarginazione
è un’arma sottile perché, sebbene da un lato possa provocare
reazioni anche violente, dall’altro spinge a cercare di tenersene o
venirne fuori in qualche modo, anche se apparente (consumismo insegna),
per non essere discriminati, cioè diversi, cioè peculiari.
Per
non venire “messi al bando” si è costretti a eliminare il proprio
senso critico. Perché per quanto si possa restare “immersi” nel
proprio essere anche dentro il trambusto del gregge, ci vuole molta
fede, cioè crederci veramente e non per assimilazione, per non
confondere il senso delle cose.
Se il gruppo rispecchia e rispetta le tendenze di ognuno, il che
significa riuscire a mettersi anche nei panni dell’altro
oggettivamente, e ha a disposizione le capacità di tutti, è possibile
orientarsi verso una meta comune che consideri tutti.
Ecco che qualsiasi segnale di disadattamento diventa uno stimolo
a mettersi in discussione per comprenderne le motivazioni e valutare se
non sia il caso di attuare un (ri)adattamento, se le giustificazioni
sono ragionevoli.
Una comunità sana dovrebbe essere in grado di accettare questo
tipo di critica, senza sentirsi sminuita e in pericolo. Attingere, anzi,
alla disomogeneità creativa(mente), fermento costruttivo di
trasformazione.
Se l’unione è solo rifugio, un modo per sfuggire alle difficoltà,
un identificarsi qui perché altrove non è possibile, si aprirà la
strada a una manipolazione, basata sulla paura, in cui attaccamento e
possessività primeggeranno, trasformando il mettersi al servizio in
servilismo e il mettersi al comando in prevaricazione. Un aggrapparsi
testardo a false sicurezze che invaliderà ogni reale trasformazione e,
prima o poi, esploderà fragorosamente.
Pacificare non può essere congelarsi,
anestetizzarsi, cioè non essere vivi e veri, altrimenti tutto resterà
immutato, comunque.
Ma anche qui cadiamo nel fraintendimento dell’opposto. Anziché
utilizzare due leve se ne usa solo una, mentre l’uso di entrambe
sarebbe la soluzione. Mettersi al comando e mettersi al servizio
dovrebbero essere le due facce di un’unica moneta, se la comunità è
al servizio della comunità e quindi di ogni singolo individuo e
viceversa.
I conti devono tornare.
Assistenza
significa stare accanto (dal lat. adsistere: ad accanto, presso sistere stare, fermarsi) , con rispetto. Non ha niente a che fare con
l’assistenzialismo nella sua accezione più becera, finalizzata a
scoraggiare, far vergognare, mettere in stato di inferiorità chi ha
bisogno.
Dove inizia o termina la comunità?
Sicuramente termina dove inizia la burocrazia, che ha come finalità
la propria sopravvivenza (e tralasciamo a chi serve questo) più che
servire alla comunità. Dove
il potere vuole mettere un marchio su ciò che “possiede”, cioè i
cittadini. Le regole dovrebbero venire
applicate quando non c’è altra soluzione dettata dal comune buon
senso. Non certo per affossare e invalidare la funzione che uno dovrebbe
esercitare. Ma se questo qualcuno non è ciò che è, tenderà a
immedesimarsi nella funzione pur di essere qualcosa, a usare il potere
che la funzione gli da sull’altro anziché svolgerla.
Se
l’obiettivo è omologare, cioè non rispettare la verità
di ognuno, non c’è via di scampo.